giovedì 13 settembre 2018

Giovani in ricerca: la sintesi dei lavori dell'incontro 2018

di Piera Angela Di Lorenzo


Le nuove generazioni si affacciano alla storia proponendo un lessico inedito: precarietà, mobilità, social media, e ancora opportunità, desiderio e libertà. Da sorvegliati speciali, i giovani decidono di riflettere sulla propria generazione che nel vortice inarrestabile della globalizzazione e nelle nuove geografie esistenziali aperte dai social prova a trovare una strada. Nell’anno in cui si ricordano i 50 anni  dal Sessantotto si può parlare di “coscienza generazionale”? Quale rapporto esiste oggi tra le generazioni, tra padri e figli? Come può una generazione liquida e apolide nell’epoca delle passioni tristi non perdere la speranza e guardare l’orizzonte con fiducia? In attesa dell’imminente Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani quali strade intraprendere verso un autentico discernimento vocazionale? Da questi interrogativi ha preso le mosse la nona edizione di Cristiani in Ricerca, appuntamento realizzato in collaborazione con FUCI e MEIC, che ha avuto luogo presso il Monastero di Camaldoli dal 24 al 26 agosto.
La riflessione a cura di Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli, sulla spiritualità del giovane ha dato inizio alla tre giorni di riflessione sul tema “Giovani. Attraversare il nostro tempo”. Il tema della giovinezza e del rapporto tra le generazioni è stato declinato in prospettiva biblica attraverso le figure di due giovani Geremia (Ger 1, 4-10) e Timoteo (Tm 4, 12-16). Dal brano di Geremia è emerso il senso di inadeguatezza che coglie il giovane davanti alle grandi sfide della vita. Davanti alla chiamata di Dio, il giovane Geremia si dichiara inadeguato a causa della sua giovinezza e afferma: «Ahimè, Signore Dio!/ Ecco, io non so parlare,/perché sono giovane». Geremia riconosce di non avere né l’autorevolezza né l’esperienza per svolgere l’incarico che il Signore vuole affidargli, perciò, confidando solo nelle proprie forze, si ritrae di fronte ad una impresa che considera al di sopra delle proprie possibilità. Nel senso di inadeguatezza si cela anche una richiesta di aiuto che non rimane inascoltata, il Signore rassicura infatti il giovane: «Non aver paura di fronte a loro, / perché io sono con te per proteggerti». L’essere giovane non è un impedimento per rispondere alla Parola di Dio, anzi è un momento favorevole per risposte autentiche e coraggiose. La riflessione sul ruolo del giovane nella comunità e sul rapporto tra le generazioni è proseguita attraverso il commento della Lettera a Timoteo. L’Autore della Lettera esorta Timoteo a farsi modello dei fedeli, ribadisce che la giovane età non è un motivo di inadeguatezza ad un servizio di responsabilità all’interno della comunità cristiana. Quindi anche un giovane può essere d’esempio nella vita cristiana. A rendere adulto il cristiano non è l’età anagrafica del credente ma l’adesione alla volontà di Dio, attraverso la frequentazione alle Scritture. Il rapporto intergenerazionale (giovane/vecchio, maestro/discepolo) diventa dunque un rapporto di legami e libertà, un rapporto di amore e generosità. La sfida per tutte le generazioni è vivere appieno la generosità che permette a ogni generazione di esprimere se stessa.


La riflessione è proseguita grazie al prezioso contributo di Francesco Stoppa, analista presso il Dipartimento di salute mentale di Pordenone, che ha illustrato il tema della trasmissione intergenerazionale come messa alla prova del desiderio. A condurre la riflessione sono state alcune pagine del romanzo di Cormac McCarthy, La strada, in cui si narra la vicenda di un padre e un figlio che, in un mondo ormai incenerito e depredato, devono salvare la civiltà. Nell’incontro tra padre e figlio possiamo riconoscere l’incontro tra due generazioni: il padre si troverà a trasmettere con fiducia il fuoco della tradizione al figlio; il figlio diventerà depositario e custode di tale patrimonio. Nel momento in cui si avvia il passaggio di testimone, il figlio si ritrae, ha bisogno di sentirsi ribadire la fiducia del padre, perché davanti all’inatteso il primo movimento è la ritrosia, lo sbigottimento, lo smarrimento. Il giovane vive nell’età del desiderio, il tempo in cui prima del sì, prima dell’assunzione del proprio destino, c’è un no. L’adolescenza, in particolare, è l’età del desiderio, non è un tempo cronologico ma logico in cui il giovane si espone al non senso della vita ed è chiamato a costruire un senso. Ogni qualvolta il soggetto si espone al non senso della vita, quando cadono le certezze e si deve rimettere in discussione, il soggetto ritorna adolescente. Egli ha, dunque, bisogno di un atto di fede da parte del mondo adulto. La generazione adulta di oggi, quella della contestazione giovanile degli anni ’60 e ’70, non è riuscita a cogliere il significato intimo dell’ereditare e del desiderio stesso. Il desiderio non è di nessuno, non può essere oggetto di trasmissione, ma è un moto interiore che ci attraversa scandendo le età della vita. Il patto tra le generazione non è un contratto, con clausole, calcolo dei profitti e delle perdite, esso è sempre un rischio, un’esposizione alla vita e al suo non senso. Hanna Arendt spiega come il vero tempo dell’uomo sia un tempo “spezzato nel mezzo”, che noi stessi siamo una lacuna nel tempo” e, abitando questo punto vuoto e allo stesso tempo sorgivo, entriamo in conflitto creativo e rigenerante con il passato e con il futuro. La vertigine dell’inatteso, la caduta, le incognite generate da questo passaggio di testimone sono proprie di ogni chiamata (come la vocazione di San Paolo o la parabola del figliol prodigo). Ed ecco che in quel misterioso «appuntamento tra le generazioni» come l’ha definito Benjamin passa l’essenza della condizione umana.


Il dibattito è proseguito grazie alla prima tavola rotonda che ha accolto i contributi di Marco Ovidi, dottorando all’Università Queen Mary di Londra, Federica Di Lascio, attivista, e Maria Francesca Murru, ricercatrice all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Quest’ultima ha illustrato il delicato rapporto tra le nuove forme di comunicazione e la partecipazione: si registra l’emergere di una sensibilità alla partecipazione espressiva, come testimoniano le numerose e continue pratiche di cittadinanza espressiva (ultima di tante la mobilitazione “Una maglietta rossa per fermare l'emorragia di umanità” dello scorso 7 luglio, promossa da Libera). Sebbene il successo dei social media risieda nel fatto che essi vengano percepiti come spazi liberi, il rischio degli stessi è serio: la prevenzione e manipolazione del comportamento umano (capitalismo informazionale) e il pericoloso e nocivo connubio tra populismo e social media. Marco Ovidi ha riflettuto sulle problematiche del mondo del lavoro sul quale soffiano due forze: il cambiamento tecnologico e la globalizzazione. Come resistere a queste spinte? La soluzione proposta è la promozione di un lavoro sostenibile che sia flessibile e ad alto valore aggiunto: il lavoratore sia costantemente proteso al lifelong learning e protagonista della propria creatività. Federica Di Lascio, con un intervento di taglio esperienziale, ha stimolato la riflessione sulla condizione dei giovani precari di oggi divisi tra desiderio di stabilità e bisogno di mobilità. Scongiurando quell’ansia da status che rende il giovane precario costantemente insoddisfatto, Federica ha messo al centro della riflessione l’ascolto delle proprie passioni e dei desideri come strada verso la stabilità.


A concludere i lavori lo spazio più atteso dedicato al dialogo ecumenico e interreligioso in cui si è riflettuto sul rapporto tra giovani e fede. Gabriella Serra, cattolica e presidente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI), ha riportato la sua esperienza del presinodo, riassumendo il contenuto dell’Instrumentum laboris del Sinodo dei Vescovi sui giovani,  articolato in tre parti: la prima dedicata all’analisi della condizione giovanile, la seconda ad offrire chiavi di lettura per un “discernimento” sulle questioni decisive, la terza per “aiutare i padri sinodali a prendere posizione rispetto a orientamenti e decisioni da prendere”. Gabriella, condividendo con entusiasmo la modalità di svolgimento dei lavori, ha consegnato ai giovani presenti i tre verbi attorno a cui si articola l’instrumentum laboris:  Riconoscere, Interpretare, Scegliere.  Yahel Halfon, israeliana ebrea giunta in Italia per studiare a Rondine cittadella della pace, ha spiegato con estrema delicatezza la situazione dei giovani ebrei oggi divisi tra ortodossia, tradizione e ricerca in una forbice che vede a un estremo un Dio che punisce e all’atro un Dio che ama. Rassmea Salah, italo-egiziana musulmana impegnata nel sociale e nel riconoscimento dei diritti delle seconde generazioni, nel definire i giovani musulmani ha indicato i due estremi: da una parte gli integralisti, dall’altra gli atei, nel mezzo ci sono tanti giovani musulmani  con il desiderio di unirsi in associazioni (come in Italia, dove la realtà dei GMI - Giovani Musulmani Italiani- conta 1000 giovani tesserati e circa 50 sezioni locali) e di vivere esperienze di volontariato. Alla domanda: come vivete in Italia la vostra fede, la risposta emozionata e sincera è stata racchiusa in una parola: con libertà.

La cifra straordinaria dell’incontro è stata mettere al centro i giovani che sono stati soggetto e, nello stesso tempo, oggetto della ricerca e della riflessione condivisa. La generosità tra generazioni, il coraggio di essere attraversati dai propri desideri e la libertà di autorealizzarsi devono costituire per i giovani di oggi il punto di partenza per il viaggio nel nostro tempo.

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