Nel decennale di Cristiani in Ricerca siamo tornati a Camaldoli per riflettere e confrontarci su una dimensione fondamentale della vita di ciascun uomo e donna e delle nostre intere comunità, cioè la fragilità. Siamo partiti da alcune domande per provare a leggere con occhi differenti questo tempo in cui viviamo: la fragilità, che è esperienza quotidiana per tutti noi, come può essere vissuta non come un limite per la realizzazione di un futuro migliore, ma come fondamento delle nostre scelte? Come può esaudirsi pienamente il nostro desiderio di infinito all’interno in una cornice esistenziale segnata dalla fragilità? Dal 30 agosto al 1 settembre, assieme con FUCI e MEIC, abbiamo riflettuto grazie alla sapiente guida di alcuni relatori che hanno offerto molti spunti e alcune provocazioni.
La relazione centrale è stata curata da Luciano Manicardi, priore della Comunità monastica di Bose, che ci ha guidati verso una lettura positiva della fragilità, che è elemento costitutivo delle nostre vite e ne rivela la piena umanità. Fragile non è sinonimo di vulnerabile, che presuppone necessariamente un fattore di rottura esterno, e nemmeno di caduco, ogni cosa è destinata a finire, ma la fragilità ci ricorda che ciò può avvenire in ogni momento. Quest’ultima è quindi una condizione ineliminabile dell’esistenza umana, pervade ogni nostro momento di vita e riconoscerla è provare a leggere a fondo noi e chi ci sta accanto nella nostra totalità. Il riconoscimento della nostra e altrui fragilità ci fa riconoscere come simili e ci apre all’amore, alla relazione con l’altro, che ci provoca e ci chiede di prendercene cura; è un appello alla nostra responsabilità. Manicardi ci ha suggerito una sorta di nuovo stile con cui relazionarci con il prossimo; prenderci cura degli altri non può più essere solo un buon gesto, ma è l’unica scelta possibile per la piena realizzazione di ogni persona. Solo questa consapevolezza è generatrice di Bene e di nuove alleanze tra gli uomini e le donne. Manicardi, durante tutta la riflessione, ha ribadito che l’elogio della fragilità in sé è sterile, essa va vissuta come una grazia, una forza capace di creare legami, di mobilitare le persone e creare solidarietà tra di esse, Insomma, la fragilità è forza profetica. Non è possibile solo studiarla ed analizzarla, è una condizione che riguarda ciascuno di noi e la sfida attuale è riuscire ad incarnarla pienamente per agire seguendo percorsi nuovi e rivoluzionari.
Il secondo importante momento del fine settimana è stata la tavola rotonda in cui abbiamo riflettuto sulla fragilità in quattro ambiti specifici dei tempi e luoghi in cui viviamo: relazioni, cultura, politica e vita ecclesiale. Negli interventi e nei successivi laboratori abbiamo ritrovato la struttura proposta da Manicardi nella sua riflessione. È necessario analizzare e studiare la realtà per comprenderne le fragilità, assumersene la responsabilità, nel senso profondo di cura, ed essere quindi generatori di novità. Ciascuno è chiamato ad impegnarsi nelle realtà che abita quotidianamente e ad essere portatore di nuovi percorsi da seguire partendo dalle fragilità che la pervadono. Il nostro agire dovrebbe essere rivolto alla costruzione del nuovo modello fondato sulla cura, che è alternativo a quello del dominio, oggi maggioritario, che rende la persona e la comunità ancora più fragile perché basato su logiche di controllo.
Laura Cortimiglia, psicoterapeuta esperta di disagio adolescenziale, ha messo al centro della sua riflessione l’importanza di essere consapevoli delle proprie emozioni. Queste mettono in luce le nostre fragilità e ci aiutano a comprendere come agire evitando di chiuderci e rifiutare il diverso per costruire una società inclusiva.
Recuperare la dimensione della comunità è fondamentale secondo Andrea Dessardo, professore di Storia della Pedagogia all'Università Europea, per dare nuove forze ad una cultura che oggi sembra essere molto fragile. La parcellizzazione culturale rende difficile una lettura ampia e sistematica dei fenomeni che ci circondano, abbiamo bisogno di scoprire nuovi spazi di formazione e trasmissione di pensiero. Ci servono nuove comunità di riferimento fondate su valori comuni, ma aperte alle diversità.
Tre sono invece le principali fragilità che Umberto Ronga, professore di Diritto Parlamentare all'Università Federico II di Napoli, ha messo in luce dell’attuale sistema politico. La trasformazione del sistema partitico, l’avvento dei populismi e le istanze di partecipazione diretta; tutte questioni che non possono più essere liquidate con superiorità o disinteresse, ma che ci interrogano profondamente sul tipo di stato, e quindi di comunità, che ci immaginiamo di essere nel prossimo futuro.
Infine, Giacomo Ghedini, dottorando in Storia Contemporanea all'Università di Bologna, ha evidenziato alcune delle fragilità del rapporto tra giovani e Chiesa. Quest’ultima dovrebbe recuperare il suo spazio accanto ai giovani mettendosi maggiormente in ascolto della novità di cui sono portatori, rendendoli veramente protagonisti e partecipi della vita ecclesiale. Serve riscoprire una Chiesa credibile, dove ritrovarsi e da cui ripartire rigenerati dalla fede in Dio.
Lasciarsi provocare dalla fragilità è quindi essenzialmente lasciarsi provocare dall’umanità che abita in noi, negli altri e nella società in cui viviamo. È riportare al centro l’essere umano nella sua pienezza, prendendosene cura e costruendo un nuovo paradigma che sappia innovare anche le scelte politiche e sociali dei nostri paesi. Aprendoci alla grazia della fragilità potremmo scoprire nuovi modi per essere comunità, perché ogni tempo ha le sue infinite potenzialità ed è nostro compito saperle cogliere e farle fruttare per realizzare, come scritto all’inizio, il desiderio di infinito che pervade la nostra esistenza.
“Lascio andare la mano/ che mi stringe la gola/ Lascio andare la fune/ che mi unisce alla riva/Il moschettone nella parete/ L'orgoglio e la sete [...] La testa torna al suo peso normale/ La salvezza non si controlla/ Vince chi molla” (Vince chi molla, Niccolò Fabi)
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